Senza Futuro Magazine

NAVA

Nava Golchini, in arte NAVA, è un’artista contemporanea di origini persiane, radicata a Milano. La sua storia è un viaggio che mescola destino, coraggio e sperimentazione, un percorso che l’ha vista passare dalla sua Teheran natale alla vibrante scena di Milano, dove ha trovato il suo spazio creativo. Da quel momento ha scoperto la sua vera vocazione musicale e ha dato vita a Navatar, una
personalità estrosa che l’ha portata a diventare una performer poliedrica. Dopo aver collaborato con un collettivo di musicisti creando il progetto Nava Project, è attualmente impegnata sulla sua carriera solista, dove sperimenta sonorità diverse per dar vita a atmosfere ipnotiche e alternative. La sua figura è l’incarnazione perfetta di un talento che fonde musica, performance fisica e un uso consapevole della moda, diventando un’icona di stile e di comunicazione visiva. Proveniente da una cultura persiana in cui l’esibizione del corpo femminile è spesso vietata, NAVA utilizza la sua immagine per promuovere la libertà e l’autodeterminazione delle donne nel suo paese d’origine. Si fa portavoce di un movimento culturale e sociale che va ben oltre la semplice performance, diventando un simbolo di resistenza e di empowerment per le giovani donne iraniane, che trovano nel suo esempio il coraggio di vivere apertamente la propria identità.

*MILANO È DIVENTATA LA TUA CASA ARTISTICA, MA IL TUO PERCORSO È INIZIATO LONTANO DA QUI. COM’È INIZIATO IL TUO VIAGGIO NELLA MUSICA?
È stato un caso. O forse destino. La mia storia inizia quasi grazie a una coincidenza, con una locandina su un mezzo pubblico a Milano, vista in un momento di grande incertezza. In quel periodo, ero divisa tra il desiderio di restare a Teheran e l’attrazione per nuove possibilità in città come Londra. Mi trovavo a un bivio in cui non sapevo se abbracciare il teatro, la recitazione o la musica, poi quella locandina ha acceso la scintilla. Fino ad allora, la musica era stata un semplice passatempo adolescenziale perché a Teheran le lezioni di canto e chitarra non avevano la struttura di un percorso professionale. La scelta di trasferirsi a Milano, quindi, non è stato solo un cambio geografico, ma anche un tuffo in una nuova cultura e in un ambiente dove potevo contare su persone che veramente credevano e credono tuttora nel mio talento. Grazie a un’amica, Miele, ho conosciuto Maciste Dischi. Hanno ascoltato il mio demo e tutto è iniziato. È stato davvero casuale, come un colpo di fortuna.

*IL PERCORSO È STATO SEMPRE LINEARE?
No, per niente. Dopo la pandemia, quando il mondo della musica sembrava ripartire con una carica travolgente, mi sono resa conto che quell’energia poteva trasformarsi in una trappola. Mi sono lasciata prendere dalla frenesia: concerti, eventi, incontri – tutto era diventato un lavoro da svolgere, un obbligo. Alla fine non avevo più voglia di andare ai concerti, perché era diventata una routine logorante. Questa esperienza mi ha insegnato l’importanza di preservare il piacere autentico di fare arte, evitando che la creatività si trasformasse in un compito meccanico.

*MILANO HA INFLUENZATO IL TUO PERCORSO?
Assolutamente sì. L’arrivo a Milano ha rappresentato un cambio di mentalità radicale. Non mi è mai stato detto cosa fare. La mia casa discografica e il mio team hanno sempre adottato l’approccio ‘provaci e vediamo cosa succede’. Solo col tempo ho capito quanto sia raro poter contare su questo tipo di supporto. È stato proprio grazie a questa fiducia e alla collaborazione con figure come gli Oietz che sono riuscita a passare senza ostacoli dal progetto di band al percorso solista, costruendo un mondo musicale autentico e privo di compromessi.
E poi ho trovato Matteo Strocchia e Marco Servina, che mi seguono nel lato visivo, ed è fantastico. Molti si trovano a dover affrontare la censura, non possono esprimere la loro identità come vogliono, mentre io ho sempre avuto un team che mi sostiene nel creare mondi assurdi e visioni diverse. Il mio label mi supporta e mi dice di andare avanti, di provare. Sono davvero fortunata e questa è la realtà che voglio far vedere, quella che dimostra che esistono altri modi di fare musica, altre realtà che non per forza devono essere quelle convenzionali. Non bisogna per forza seguire il modello mainstream; è importante che ci siano alternative.

*NEL TUO SOUND C’È UNA FORTE INFLUENZA PERSIANA. COME L’HAI INTEGRATA NEL TUO PERCORSO?
Per anni avevo evitato di confrontarmi con il mio passato, come se le mie origini appartenessero a una vita diversa. Poi, lavorando all’EP «N130A», ho compreso che separare “Nava di Teheran” da “Nava di Milano” era un’illusione: Non sono due persone diverse, sono sempre io. Questo passaggio di consapevolezza mi ha portata a integrare nella musica gli elementi originari. La fusione di sonorità elettroniche e influenze persiane è divenuta il mio marchio distintivo. Mi ricordo che molte volte mi dicevano “questa nota che fai, che canti, non è occidentale”, ma io non me ne rendevo conto, perché era interiorizzata dentro di me. Quando ho superato questo blocco è diventato tutto molto più interessante, mi ha permesso di giocare con mondi diversi. Per me, come artista, non c’è mai un inizio e una fine definiti, non è mai lo stesso percorso. C’è sempre un’evoluzione, una crescita.
Ogni “era” che vivo non cancella quella precedente, ma non deve per forza essere rigida. La bellezza sta nel fatto che è sempre in movimento.

*QUANTO È IMPORTANTE PER TE L’EVOLUZIONE ARTISTICA?
Fondamentale. Non si può mai cadere nella ripetizione; bisogna essere sempre coerenti con sé stessi, ma senza fermarsi mai. Pensa a Lana Del Rey: è partita con un sound e poi ha sorpreso tutti cambiando completamente. Questo dimostra che non dobbiamo restare incasellati in un solo genere. Non voglio fare sempre lo stesso tipo di musica, ma voglio essere sempre autentica. Ogni mio progetto è un nuovo capitolo, senza dimenticare quello precedente.

*A COSA STAI LAVORANDO IN QUESTO MOMENTO?
Attualmente sto vivendo una fase molto introspettiva, concentrata sul nuovo album. Questo è il momento dello studio, dove è immersa nel lavoro sulle voci, la parte più complessa del processo. Vorrei registrare tutto in un giorno, ma so che non funziona così. Ci vuole tempo, concentrazione e disciplina. Quando si entra in studio, bisogna essere chiari su cosa si vuole che risuoni nell’album e avere già una visione precisa del suono da creare. Questo rende il processo delicato, ma fondamentale. Il vantaggio di quest’anno, rispetto agli altri è che non ho scadenze troppo strette. Ho avuto più tempo, e questo mi ha permesso di affrontare il lavoro con maggiore serenità. Avevo iniziato a scrivere l’album già la scorsa estate, ma poi ho sentito l’esigenza di creare qualcosa di più profondo, un nuovo capitolo. Inizialmente doveva essere un EP di cinque brani, poi è evoluto in un progetto più grande, nato in modo inaspettato durante le sessioni in studio con Erio e Fabio Lombardi. In soli due giorni sono stati scritti dieci brani con una chitarra a sole due corde. È stata la prima volta che ho scritto così tanti pezzi in modo così naturale. Non è stato come un normale lavoro in studio, ma un processo organico in cui ogni persona ha messo del proprio senza forzature. Ogni canzone aveva una sua storia da raccontare, ed è stato un album creato per il bisogno di esprimere.

*CHI È NAVATAR?
Navatar è il mio lato più audace, la parte che sfida le convenzioni. Il personaggio è nato per diventare un modello di riferimento per le ragazze provenienti da realtà difficili o sottorappresentate. Navatar è la parte di me che vuole rompere i tabù, che vuole dimostrare che possiamo essere chi siamo senza paura. Ho voluto dare coraggio a tutte le ragazze, soprattutto alla comunità persiana, che non avevano mai visto qualcuno come me sul palco: con la mia musica, i miei vestiti, i miei capelli. La parte più coraggiosa di me lotta per i diritti e per la libertà, contro le rigidità della società, per far vedere che essere autentici è possibile. Il brano Asadi è un omaggio a tutte le donne che lottano per i propri diritti, per la propria autenticità, e diventa un messaggio di speranza. Mi piace pensare che la mia musica si fa ponte tra culture diverse, un invito a non rinunciare mai a ciò che si è davvero.

*CHE RAPPORTO HAI CON IL TUO PUBBLICO?
Per me il palco non è solo un luogo dove esibirmi, è uno spazio di comunicazione diretta con il pubblico. Non voglio che i miei concerti siano solo “spettacoli”, voglio che siano esperienze immersive, che creino un legame tra me e chi mi ascolta. Io non mi limito a cantare: le mie esibizioni sono performance visive e sensoriali, in cui il corpo, la musica e la scenografia si intrecciano. Quando sono sul palco, entro in un altro stato mentale. È un momento in cui posso essere totalmente me stessa, senza filtri. Ogni mio movimento, ogni scelta estetica è pensata per creare un dialogo con il pubblico. Per me, il concerto non è mai un’esperienza unidirezionale. Non si tratta solo di me che canto e il pubblico che ascolta. C’è un’energia che si muove tra di noi. Mi piace osservare le reazioni, percepire le emozioni di chi ho davanti. Quando vedo qualcuno che si lascia trasportare dalla mia musica, so di aver fatto qualcosa di vero. Un esempio di questa connessione è stata la performance di body painting davanti alla chiesa di Abbiategrasso: Non era solo un’esibizione, ma un messaggio. Volevo rompere una barriera, far fermare le persone, farle riflettere. L’arte, per me, è un modo per creare spazi di incontro e di dialogo. Ho la fortuna di avere un pubblico variegato, ho trovato un forte riscontro soprattutto nella comunità LGBTQ+. Mi sento parte di un ambiente in cui la libertà di esprimersi è fondamentale. Il mio pubblico è formato da persone che si riconoscono in questa visione: che vogliono sperimentare, esplorare identità, uscire dagli schemi. Il mio sound – che è una fusione di elettronica sperimentale e influenze persiane – ha trovato ascoltatori in Italia, Germania, Nord Europa e Stati Uniti, dimostrando che un suono autentico e senza compromessi può superare le barriere culturali. Ogni canzone è un viaggio, voglio che chi ascolta si immerga completamente e trovi una parte di sé nelle mie note.

*PARLAMI DEL RECENTE TOUR IN ASIA. (: 
È stato bellissimo! Ho incontrato molte comunità artistiche aperte e queer. In Asia, ho trovato un pubblico entusiasta, che mi ha accolto con tanta gratitudine, anche perché quello che portavo era qualcosa di diverso per loro. È stato un incontro di freschezza, di scambio culturale, ed è stato davvero emozionante. Anche se c’era un momento difficile, con il tifone in corso, la gente è venuta lo stesso a vedere le performance. La cosa che mi ha colpito di più è che, a differenza dell’Italia, in Asia la gente sembrava molto più aperta a scoprire nuove cose. Non avevano paura di venire, anche sotto la pioggia, non si facevano scoraggiare da nessun tipo di avversità. Questo incontro con comunità artistiche e con nuove sonorità ha arricchito la mia visione, permettendomi di rivedere i brani con uno sguardo più critico e consapevole.

*OLTRE ALLA MUSICA, HAI INIZIATO ANCHE UN PERCORSO COME DJ. COSA TI HA SPINTO A FARLO?
Volevo esplorare territori sonori diversi, mescolando influenze mediorientali con la musica elettronica. Il mio DJ set non è solo per il club, è un’esperienza che mescola performance e canto. Ho anche creato il radio show Eastern Clubbing with Nava, un programma pensato per dare visibilità alla scena musicale del Medio Oriente e del Nord Africa, che considera ricca di energia e innovazione.

*PARLIAMO DI MODA. GIOCA UN RUOLO IMPORTANTE NEL TUO PROGETTO ARTISTICO?
Certo! La moda è un altro elemento fondamentale nell’universo di ‘Nava artista’. Per me vestirsi non è una semplice scelta estetica, ma un atto di comunicazione, un modo per esprimere se stessi e le proprie trasformazioni. Ho collaborato con fotografi e designer emergenti, con cui ho potuto sperimentare senza vincoli. Quando stilisti alle prime armi mi scrivono, mi sento onorata, è come se mi invitassero a entrare in un mondo innovativo e sperimentale. Per me la moda rappresenta anche un atto politico: vestirsi è un modo per comunicare; ogni abito che indosso trasmette un messaggio, rafforzando il significato della mia musica e della mia identità. La mia visione della moda mi spinge a immaginare progetti che combinano musica e moda in performance uniche, sostenibili e lontane dai cliché. Mi piacerebbe fondere il mio mondo con quello della moda. Vorrei creare una performance simile a quella di FKA Twigs per Valentino, dove la musica si unisce alla sfilata, o come quella di Rosalía per Louis
Vuitton. Il mio sogno è portare la mia musica su una passerella, ma solo con un brand che rispecchi i miei valori: cruelty-free, sostenibile e fuori dagli schemi.

Talent NAVA @NAVAProject
Photography Alberto Pelayo @albertopelayo.jpg
Photography Assistant
Francesca Lanfranchi @francesca.lanfranchi.3d
Arianna Bacilieri @ariannabacilieri_ph

Interview: Isabella Acosta Justiz at MOODART School of Fashion Communication @moodart_fashion_communication @isacinica

Styling Mentor: Veronica Bergamini @veronica_bergamini

Styling: Nicole Zia @nicoleeezia; Greta Gualtieri @bi.gg.y;
Elena Cuoghi @elecuogss ; Elena Braga @elenaabraga ;

Martina Pavan @martinapavann; Ilaria Rossi @inspiration1985; Carmen Scannapieco @carmen.scannapieco; Giusy Cozzolino @gici_0; Marta

Ambrosioni @martaambrosioni;
MAKE-UP & HAIR: Marco Servina @comevaconma

Educational Project Coordinator Mira Wanderlust @mirawanderlust + Cecilia Bortolazzi @cecilia_bortolazzi

Production Assistant Matteo Faccin @faccinmatteo